A uno scienziato bisogna chiedere i dati, non un’opinione. Gli scienziati si trovano bene nei dati perché creano quel luogo numerico da cui traggono la loro forza; la comunicazione dei dati è invece un aspetto spesso trascurato nella formazione di chi si occupa di scienza. Esiste un settore della genetica che fa un uso approfondito di dati, numeri e statistica, ma che si avvicina molto alla dialettica perché incontra altre categorie professionali: avvocati e magistrati. Il dato del genetista forense a cui è stato affidato un caso criminale può essere decisivo, eppure, deve essere inserito nel giusto contesto: il genetista è stato abbastanza chiaro da farsi capire dal giudice?
In questo appuntamento di Caffè Scienza, Emiliano Giardina ha spiegato i problemi che affronta il genetista forense, tra cui anche il problema comunicativo con la magistratura. Il giudice non è altro che il punto finale di un flusso di lavoro che parte dalla traccia biologica sulla scena del crimine. Innanzitutto, la traccia deve essere identificata. Le tracce più interessanti sono le tracce invisibili. Infatti, se queste tracce diventano visibili agli inquirenti (attraverso luci e composti chimici particolari, tra i quali il più famoso è il luminol) possono essere molto utili perché queste saranno state invisibili anche per coloro che volevano occultarle. La traccia identificata viene quindi raccolta all’interno di buste per reperti, dotate di sigilli anti-manomissione e portata al laboratorio. Nel laboratorio un punto fondamentale dell’analisi è individuare la natura biologica del campione: sangue, urina, liquido seminale ecc. Se sul pigiama di un bambino si trova il DNA del padre, per capire se c’è stata violenza sessuale è fondamentale sapere se questo DNA deriva da una goccia di sudore oppure da liquido seminale. Infine, il DNA viene estratto dal campione. Il DNA in ambito forense non è altro che l’evoluzione tecnologica dell’impronta digitale. La sequenza del DNA viene trasformata dal genetista forense in una serie di picchi che identificano in modo univoco un individuo.
La genetica forense non è solo uno strumento per individuare i colpevoli, ma può essere uno strumento di democrazia. La prima applicazione della genetica forense, da parte di Alec Jeffreys nel 1986, servì per scagionare un innocente. Per questo suo ruolo chiave, quella del genetista è una figura complessa, che deve sapere, saper fare e saper dire. Innanzitutto, un genetista forense è un genetista: non bisogna minimizzare il ruolo scientifico di questa figura. Successivamente, il genetista forense deve analizzare l’enorme quantità di dati prodotti dalle moderne tecnologie. Se infatti l’automazione delle procedure di laboratori permette di usare macchine al posto di persone, le persone non scompaiono da questo lavoro ma si dedicano all’interpretazione dei dati. In questo ambito la statistica riveste un ruolo essenziale, così importante che può essere utilizzata anche per capire quanto è probabile la tesi dell’accusa rispetto alla tesi della difesa. Infine, emerge la maggior parte dello sforzo: bisogna ottenere un risultato che non sia contestabile. Il responsabile dell’analisi deve riuscire a trasmettere in modo chiaro se è sicuro o meno dei dati. La chiarezza è fondamentale per dialogare con il giudice: se lo scienziato cerca di spiegare in modo troppo complesso, il giudice si allontanerà da quel risultato, e anche dalla verità. Il dato deve essere capito dal giudice: il genetista forense comunica numeri ma l’importanza di quei numeri viene determinata in sede processuale. Trovare un DNA non vuol dire quindi trovare un colpevole: significa aver identificato la presenza di soggetti in determinati luoghi o su determinati oggetti, ma la responsabilità dipende dall’avverarsi di determinate condizioni.
Durante il Caffè Scienza, Emiliano Giardina ha avuto la possibilità di raccontare la sua notevole esperienza in casi criminali, e spiegare alcune innovazioni nell’ ambito della genetica forense (per citarne alcune, identikit genetico e laboratori miniaturizzati) ma i concetti fondamentali che ha ribadito più volte sono due. Il primo è che il genetista forense è uno scienziato che deve avere alle spalle un ampio bagaglio di conoscenze teoriche e metodologiche; non ci si può improvvisare genetisti forensi. Il secondo è che il genetista forense è una parte dell’ingranaggio più ampio e complesso della giustizia e per questo deve imparare a farsi ascoltare nel modo giusto, convincente quando è convinto ma possibilista quando la statistica evidenzia la minore forza del dato genetico. Bisogna sempre ricordare che “Esiste una certezza scientifica che solo i pavidi trattano come un’incertezza, ed esiste un’incertezza che solo l’arroganza dell’ignoranza trascura” (Charles Meymott Tidy).