Lockdown. Questa parola inglese è entrata nel nostro linguaggio, come tante altre, perché difficilmente traducibile. Quarantena? Chiusura? Blocco d’emergenza? Nessuna alternativa è parsa efficace quanto “lockdown”, forse per ciò che questa parola ispira: lock down significa letteralmente “mettere sotto chiave” e isolare. Il lockdown per Covid-19 ha infatti significato per tutti isolamento sociale. Senza altre possibilità, è stato necessario affrontare questa situazione, ma non senza ripercussioni. L’isolamento sociale, infatti, ha numerosi effetti negativi, come ha spiegato al Caffè scienza del 28 settembre Andrea Guazzini dell’Università di Firenze, perché una cosa è certa: l’essere umano per sopravvivere deve appartenere a un gruppo.

Una sorta di  “Santo Graal” della psicologia ci aiuta a inquadrare il lockdown e le sue ripercussioni sulla nostra salute psichica: la piramide dei bisogni. In questa piramide alla base si trovano i bisogni primari, cioè prima i bisogni fisiologici (respirazione, alimentazione, riproduzione, sonno) e poi i bisogni di sicurezza (fisica, di occupazione, morale, familiare, di salute, di proprietà). Verso il vertice della piramide ci sono i bisogni sociali, cioè appartenenza (amicizia, affetto familiare, intimità sessuale) e stima (autostima, autocontrollo, rispetto reciproco), e infine il bisogno del sé (autorealizzazione). Anche le relazioni sociali sono un bisogno essenziale. I bisogni sono classificati in una piramide perché per percepire pienamente il bisogno successivo bisogna aver soddisfatto i bisogni precedenti, in una forte interconnessione. Questi collegamenti sono ben visibili anche a livello organico: le regioni cerebrali che si attivano in conseguenza alla mancanza di cibo e alla presenza di pericolo sono le stesse che reagiscono all’isolamento e alla solitudine.

I risultati di studi scientifici sull’isolamento sono poco numerosi perché eticamente non è accettabile condurre questi studi su animali e esseri umani. Gli esperimenti conosciuti derivano da periodi storici in cui l’attenzione agli aspetti etici non era sufficiente oppure in condizioni particolari, come nel caso di astronauti o di volontari isolati. Il lockdown costretto dal Covid-19 è risultato essere per gli psicologi un enorme, anche se drammatico, esperimento sociale.

L’isolamento non è una condizione fisiologica per l’uomo. L’assenza di interazioni sociali porta a decadimento cognitivo e della salute: esacerbazioni di stati psicopatologici, ridotta qualità del sonno, sintomi depressivi, abuso di sostanze, suicidi, comportamenti aggressivi, ridotta attività fisica, problemi alimentari. In soggetti predisposti, dopo anche solo una settimana di isolamento possono comparire allucinazioni uditive. È stata osservata la riduzione di materia grigia all’interno di aree predisposte alle emozioni, come amigdala e ippocampo. Gli assi di regolazione endocrina (per la produzione di vari ormoni) risultano alterati, aumentando i problemi cardiovascolari. L’isolamento fisico riduce le funzioni esecutive e l’impatto è stato più grave su soggetti con demenza e malattia di Alzheimer. L’isolamento, inoltre, porta a modifiche cerebrali nella zona deputata alla gestione dei rapporti interpersonali; in queste condizioni, la rappresentazione mentale del proprio sé si distacca dalla rappresentazione degli altri. L’effetto peggiore, stando ad Andrea Guazzini, è risultato proprio essere l’alterata visione dell’identità: l’isolamento altera il modo in cui noi ci vediamo.

Durante il lockdown dovuto a Covid-19 si è osservata una riduzione della connessione sociale ma un aumento del senso di comunità virtuale. Bisogna considerare che il termine italiano solitudine può essere scomposto in inglese in tre sentimenti diversi: la solitude, con un’accezione più positiva; la loneliness, con un’accezione negativa; la alienation, cioè la sensazione di essere disconnessi dall’ambiente circostante ma senza essere preoccupati di non avere un supporto sociale, in un isolamento cognitivo ma non affettivo. Gli strumenti digitali durante il lockdown sono quindi stati utilizzati dagli individui per modificare il tipo di solitudine provata, dimostrando come i soggetti potessero essere più o meno resilienti.

Quando viene sottratto un bisogno fondamentale, l’essere umano diventa aggressivo come tutti gli animali. A differenza degli altri animali, però, l’essere umano ha potuto innalzare la sua piramide dei bisogni, arrivando a bisogni sempre più complessi. Internet è diventato uno strumento pervasivo per la sua capacità di soddisfare i bisogni di cui gli esseri umani sono stati privati, e quanto successo in questo anno forse ha aperto una finestra sul futuro di connessioni virtuali nel quale i “nativi digitali” si trovano già, in fondo, immersi.

Psicopatologia del lockdown: perché gli spazi chiusi ci fanno paura