Quando si parla di scienza, è tendenza comune celebrare solo le grandi scoperte scientifiche, ma il percorso della scienza e dell’ingegneria non è stato privo di errori, spesso scienziati e ingegneri “hanno fatto male i conti”. La complessità dei fenomeni studiati, la pressione per ottenere risultati rapidi e l’eccessiva fiducia nelle previsioni teoriche hanno portato talvolta a risultati disastrosi. Devis Bellucci, ricercatore dell’Università di Modena e Reggio Emilia, ha raccontato al pubblico di Caffè Scienza i retroscena del mondo scientifico e tecnologico per sfatare il mito dell’infallibilità della scienza.
Devis Bellucci è scrittore, giornalista e divulgatore scientifico, ha conseguito una laurea e un dottorato in fisica all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, dove oggi è ricercatore in Scienza e tecnologia dei materiali presso il Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari”.
Devis Bellucci ha illustrato una serie di errori significativi avvenuti in diversi ambiti del sapere umano, dall’ingegneria alla fisica e alla matematica analizzando, insieme al pubblico di Caffè Scienza, le cause ricorrenti di tali errori, evidenziando come spesso derivino da fattori comuni. Tra le ipotesi che possono spiegare gli sbagli di scienziati e ingegneri, emergono motivi come l’eccessiva fiducia nelle proprie conoscenze, l’assenza di verifiche matematiche, le modifiche apportate all’ultimo momento, incomprensioni, la complessità dei progetti che rende difficile controllare tutto, e la fretta di concludere. Uno degli episodi emblematici presentati è la vicenda del 1600 descritto da Galileo Galilei, che riassume molte delle dinamiche e delle cause di errore discusse: un progettista era incaricato di stabilizzare una pesante colonna di marmo, lasciandola all’aperto per alcuni mesi. Per farlo, posizionò la colonna distesa su due supporti, ma ben presto si accorse che essa tendeva a flettersi al centro. Consultandosi con altri progettisti, decisero di aggiungere un terzo supporto proprio nel punto debole, pensando che questa soluzione avrebbe garantito maggiore sicurezza, ma quando iniziò a piovere, il terreno su cui poggiavano i supporti si inzuppò, diventando irregolare e cedevole. Una pozzanghera formata vicino a uno dei supporti causò lo sprofondamento del terreno e, di conseguenza, la colonna si spezzò. Questo episodio evidenzia vari errori di valutazione: il progettista aveva scelto la disposizione dei supporti basandosi solo sull’intuizione, senza calcolare le proprietà del marmo o le forze in gioco. Inoltre, aveva cercato di risolvere il problema del punto debole aggiungendo un supporto, senza rivedere l’intero progetto. Infine, la progettazione non aveva tenuto conto delle condizioni ambientali, come la pioggia e il terreno. Il caso sottolinea un principio chiave: la teoria, soprattutto nella scienza, non sempre precede la pratica.
Tra le cause comuni di errore nella scienza e nell’ingegneria figura l’incomprensione o la mancata comunicazione tra esperti, come dimostra il caso dell’aereo Havilland Comet, il primo jet commerciale al mondo. Progettato per volare a 10.000 metri di quota e raggiungere una velocità di 800 km/h, il Comet veniva pressurizzato e depressurizzato come gli aerei moderni. Nonostante l’impiego dei migliori ingegneri e materiali disponibili, il 10 gennaio 1954 un Comet nuovo esplose in volo sopra l’Isola d’Elba, pochi minuti dopo il decollo da Roma Ciampino diretto a Londra. Inizialmente, gli investigatori ipotizzarono che fosse stata causata da una bomba, ma l’8 aprile dello stesso anno, un altro Comet esplose in circostanze simili sopra l’Isola di Stromboli, indicando che non si trattava di un incidente isolato. Le indagini dettagliate sui resti del primo aereo rivelarono delle crepe nei finestrini, che partivano dagli angoli, indicando una decompressione esplosiva. Il problema risiedeva nella forma quadrata dei finestrini: a quelle quote elevate, la continua pressurizzazione e depressurizzazione dell’aereo sottoponeva il metallo a cicli di stress, concentrando gli sforzi sugli spigoli e provocando l’affaticamento del materiale. Questo fenomeno era stato trascurato dagli ingegneri, poiché gli aerei a elica dell’epoca volavano a quote più basse, dove il problema non si presentava. Il caso evidenzia come la novità tecnologica del Comet, combinata con conoscenze ancora incomplete, abbia portato a sottovalutare un rischio critico, mostrando come la concentrazione su singoli aspetti progettuali possa far trascurare implicazioni più ampie. Anche in tempi recenti, nonostante i progressi tecnologici, errori simili a quelli del passato si sono ripresentati, come dimostra l’incidente del volo Aloha Airlines 243, avvenuto il 28 aprile 1988. Questo aereo, che effettuava frequenti collegamenti tra le isole Hawaii, subì un cedimento strutturale in volo, scoperchiandosi improvvisamente senza alcun segnale premonitore. L’incidente fu causato dall’affaticamento del metallo della fusoliera, soggetta a continue pressurizzazioni e depressurizzazioni, come avviene negli aerei moderni; inoltre, a peggiorare la situazione, l’aereo effettuava numerosi decolli e atterraggi quotidiani, esponendosi al clima salino tipico delle Hawaii, che favoriva la corrosione. Questa combinazione di fattori aveva portato alla formazione di crepe non rilevate, una delle quali si espanse improvvisamente, causando il cedimento. In seguito a questo incidente, le procedure di sicurezza vennero modificate, stabilendo limiti più rigorosi sulla durata di servizio degli aerei e prevedendo la dismissione dopo un certo numero di ore di volo, per prevenire il rischio di formazione di crepe strutturali.
Un altro drammatico esempio di cedimento dovuto all’affaticamento dei materiali è il disastro dello Space Shuttle Challenger, avvenuto il 28 gennaio 1986, quando esplose poco dopo il decollo. La struttura del Challenger comprendeva un grande serbatoio centrale, al quale erano collegati la navicella e due razzi laterali chiamati booster, che fornivano la spinta iniziale. I booster, alti diversi metri, erano costituiti da segmenti raccordati con guarnizioni di gomma. Il giorno del lancio, la temperatura era insolitamente bassa, suscitando preoccupazioni tra i tecnici; nonostante alcune discussioni, fu deciso di procedere con il lancio, ignorando il fatto che il freddo avrebbe irrigidito le guarnizioni, compromettendone la tenuta. Già presenti delle crepe, le vibrazioni del decollo aggravarono il problema, permettendo al carburante infiammato di fuoriuscire dai booster, causando l’incendio che distrusse lo shuttle. Tutti i membri dell’equipaggio persero la vita e ci vollero oltre 20 anni di voli e due disastri per riconoscere che il design dello Shuttle presentava gravi problemi strutturali, dimostrando che la teoria non può sempre anticipare tutte le criticità di un progetto.
Un altro errore che portò a conseguenze drammatiche fu quello del 17 luglio 1981: due passerelle sopraelevate all’interno dell’Hyatt Regency Hotel di Kansas City, Missouri, crollarono improvvisamente durante un evento sociale, causando la morte di 114 persone e il ferimento di oltre 200. Le passerelle, posizionate una sopra l’altra, collegavano i piani dell’hotel e si estendevano sopra l’atrio principale. La passerella del quarto piano, sostenuta direttamente da quella del secondo piano tramite una serie di aste di supporto, cedette sotto il peso delle persone presenti, trascinando con sé anche la passerella inferiore. L’indagine successiva rivelò che il disastro fu causato da un errore strutturale dovuto a una modifica nel progetto originale: il sistema di ancoraggio delle aste di supporto venne cambiato per facilitare la costruzione, ma la nuova configurazione raddoppiava il carico sulle giunzioni dei supporti, superando i limiti di resistenza del materiale. Questo difetto, combinato con l’affollamento delle passerelle, portò al cedimento catastrofico. Il crollo dell’Hyatt Regency rimane uno dei più gravi disastri strutturali nella storia degli Stati Uniti, sottolineando l’importanza del rigoroso controllo di progettazione e costruzione, e portando a significative riforme nelle normative di sicurezza ingegneristiche.
Gli errori della scienza però, non sempre portano a delle tragedie, come il caso del grattacielo “The Walkie Talkie” di Londra, noto come 20 Fenchurch Street. Dopo la sua costruzione nel 2013, il grattacielo presentava un problema: la facciata curva in vetro rifletteva e concentrava i raggi solari, creando un effetto simile a una lente. Questo fenomeno generava un fascio di luce intenso che raggiungeva le strade sottostanti, causando temperature elevate sufficienti a danneggiare auto parcheggiate e fondere parti di veicoli e negozi. Il problema, subito ribattezzato “Raggio della Morte,” fu dovuto a un errore di progettazione che non aveva tenuto conto degli effetti della rifrazione della luce solare sulla superficie curva. Furono quindi installati dei pannelli schermanti sulla facciata per ridurre l’intensità dei riflessi, mettendo in evidenza l’importanza di considerare tutti i fattori ambientali nella progettazione architettonica.
Questi sono solo alcuni esempi di casi in cui scienziati e ingegneri “hanno fatto male i conti” presentati durante la serata. Devis Bellucci ha concluso l’incontro con una riflessione: “perché fidarsi della scienza se questa sbaglia così tanto? Qual è il suo punto di forza?”. Sebbene la scienza sia il nostro principale strumento per produrre conoscenza misurabile, il suo vero punto di forza risiede nella sua natura collettiva. Nessuno fa scienza da solo: le idee vengono condivise, gli articoli scientifici vengono valutati in modo anonimo e gratuito da altri esperti e il sapere si costruisce insieme, attraverso il confronto e la verifica. È proprio grazie a questo processo collaborativo che gli errori emergono e diventano opportunità di crescita. “Non è il metodo sperimentale, che da solo non basta, ma la natura corale dell’impresa scientifica, dove il sapere si costruisce attraverso la condivisione delle idee, il confronto serrato, la verifica incrociata delle osservazioni prima di elevarle al rango di scoperta. Perché nessuno fa scienza da solo”.