I Neanderthal, antichi parenti dell’Homo sapiens, rappresentano uno degli enigmi più affascinanti e complessi dell’evoluzione umana. La figura del Neanderthal è oggi rivalutata non solo come specie arcaica, ma come una popolazione dotata di una propria cultura, capacità intellettive e abilità artistiche che la avvicinano molto all’uomo moderno. Il mistero principale resta però la loro estinzione, che coincide con l’arrivo dell’Homo sapiens in Europa e suggerisce un’interazione complessa fatta di competizione, convivenza e, in alcuni casi, ibridazione. Con il Professore Gabriele Sansalone, durante la quinta serata di Caffè Scienza, abbiamo esaminato le tappe cruciali della loro storia, cercando di comprendere le dinamiche complesse e multifattoriali che hanno determinato la loro estinzione.
Gabriele Sansalone è Professore Associato presso il Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Modena e Reggio Emilia, dove insegna Anatomia Comparata e si occupa di biologia evoluzionistica. Sansalone ha conseguito il dottorato in “Geologia dell’Ambiente e delle Risorse” presso l’Università degli Studi “Roma Tre” a Roma, specializzandosi nella sezione Ambiente e Geodinamica.
L’Homo Neanderthalensis, noto come uomo di Neanderthal, è stato uno dei più vicini parenti dell’Homo sapiens, condividendo per un lungo periodo territori comuni in Europa e Asia. I Neanderthal sono stati inizialmente descritti come primitivi e brutali, tuttavia, le più recenti scoperte archeologiche dipingono un quadro diverso, mostrando i Neanderthal come una popolazione dotata di intelligenza, cultura e capacità sociali. L’antenato dei Neanderthal, l’Homo heidelbergensis, lasciò l’Africa circa 500.000 anni fa, distribuendosi ampiamente in Europa e Asia, con il passare del tempo, il Neanderthal si adattò e si diversificò in queste regioni, rivelando una grande capacità di sopravvivenza, ma dimostrando anche di preferire climi temperati piuttosto che freddi. Scavi in Italia, inclusi alcuni presso Roma, confermano che i Neanderthal abitavano anche zone meridionali d’Europa.
Al di là della resistenza ambientale, ulteriori indizi del comportamento empatico dei Neanderthal emergono dal ritrovamento di un cranio quasi completo, datato tra 60.000 e 47.000 anni fa, appartenente a un individuo di circa 30-35 anni, avanzato con l’età per quel periodo e affetto da numerose patologie: le sue articolazioni mostravano segni di artrite e deformazioni vertebrali, suggerendo un’esistenza difficile ma supportata dalla cura della sua comunità, che probabilmente ha permesso a questo individuo di vivere fino a un’età avanzata. Questo comportamento indica che i Neanderthal avevano sviluppato un senso di solidarietà e rispetto verso i membri più fragili e anziani del gruppo, sfidando le visioni stereotipate di una specie rozza e solitaria. Infatti, in questa cava archeologica sono stati rinvenuti resti di una grande comunità Neanderthal di almeno 13 individui di tutte le età, suggerendo una società potenzialmente più vasta. Accanto agli scheletri sono stati ritrovati strumenti litici, molti dei quali presentavano motivi geometrici ricorrenti. Questo rinvenimento apre un dibattito sulla capacità del Neanderthal di sviluppare pensiero simbolico e artistico, una caratteristica a lungo attribuita esclusivamente all’Homo sapiens, i ritrovamenti indicano che l’industria litica e le pitture rupestri dei Neanderthal potrebbero essere anteriori all’arrivo dei Sapiens in Europa, lasciando spazio all’ipotesi che queste capacità siano emerse in modo autonomo. Tuttavia, è ancora incerto se si tratti di una forma di imitazione o di un’originale evoluzione culturale, e alcune delle datazioni di manufatti nelle aree Neanderthal sono oggetto di revisione, poiché elementi attribuiti ai Neanderthal potrebbero effettivamente essere frutto di interazioni dirette con i Sapiens.
Tra le scoperte significative vi è anche l’utilizzo di piante analgesiche, che suggerisce una conoscenza botanica rudimentale: i Neanderthal ricorrevano a rimedi naturali per alleviare il dolore, ad esempio con l’uso di materiali vegetali per compensare la perdita dei denti dovuta ad ascessi, evidenziando un pensiero pratico per risolvere problemi di salute. Inoltre, un’altra scoperta interessante è la presenza di motivi geometrici incisi, non destinati alla caccia o a usi pratici, ma con un valore estetico o simbolico. Questo suggerisce che i Neanderthal avessero la possibilità di creare oggetti non essenziali per la sopravvivenza. e quindi che possedessero una gerarchia sociale e ruoli specializzati, un’organizzazione che li avvicina inaspettatamente alle strutture delle società umane moderne.
Gli studi condotti da Svante Pääbo, biologo insignito del Premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina nel 2022, hanno confermato che i Neanderthal e i Sapiens non solo si incontrarono, ma si incrociarono anche geneticamente. Pääbo ha dedicato gran parte della sua carriera a sequenziare il genoma Neanderthaliano e confrontarlo con quello umano moderno, scoprendo che molti europei portano dal 2 al 4% di DNA Neanderthaliano. Questa percentuale si trova soprattutto nelle regioni ipervariabili del nostro genoma, responsabili delle differenze individuali. Tuttavia, non sono stati rilevati contributi Neanderthaliani nel genoma mitocondriale, che si eredita esclusivamente dalla madre, suggerendo che, prima di tutto il campione di DNA Neandertaliano che abbiamo a disposizione è estremamente piccolo: i genomi che abbiamo a disposizione sono DNA appartenenti a circa 6-7 individui differenti; quindi, abbiamo una conoscenza di questo genoma molto ridotta; inoltre le interazioni riproduttive tra le specie potrebbero aver limitato la trasmissione di geni Neanderthaliani attraverso linee materne. Infine, si ipotizza che molti dei geni Neanderthaliani siano stati sottoposti a una selezione negativa, venendo progressivamente eliminati nel tempo dal nostro pool genetico.
Tra i geni ereditati, alcuni hanno avuto impatti contrastanti. Un caso di particolare interesse è il gene FOXP2, associato alle capacità linguistiche. Questo gene, presente anche nelle scimmie, è mutata nell’Homo sapiens e gioca un ruolo cruciale nella produzione del linguaggio articolato. I Neanderthal possedevano una versione leggermente diversa di questo gene, indicando che, pur avendo capacità linguistiche, queste erano probabilmente diverse e meno avanzate rispetto ai Sapiens. Tra i geni Neanderthaliani che si sono mantenuti nell’Homo sapiens, spiccano quelli associati alla pelle chiara e ai capelli rossi, particolarmente comuni nelle popolazioni a latitudini elevate. Questi tratti genetici, probabilmente adattativi nelle aree con minore esposizione solare, potrebbero essere stati acquisiti in seguito al contatto con i Neanderthal, oppure si sono sviluppati indipendentemente nelle due specie attraverso un processo evolutivo chiamato convergenza. Altri geni, come la variante recessiva del gene KIF11, legato alla microcefalia, sono invece scomparsi nella nostra specie. La variante dominante di questo gene, che consente lo sviluppo di un cervello di grandi dimensioni, è prevalente nell’Homo sapiens, mentre alcuni Neanderthal erano portatori della variante recessiva che produce un cervello più piccolo. Le scoperte di Pääbo hanno rivelato anche alcune influenze inattese del DNA Neanderthaliano sulla salute umana moderna. Ad esempio, gli europei con una percentuale maggiore di DNA Neanderthaliano hanno mostrato una maggiore vulnerabilità alle complicazioni da COVID-19, mentre le popolazioni africane, con una presenza di DNA Neanderthaliano minima, sembrano meno inclini a queste complicazioni. Al contrario, alcuni geni ereditati dai Neanderthal sembrano conferire una maggiore resistenza all’HIV. Queste eredità genetiche, quindi, dimostrano come l’incontro tra due specie evolutivamente distanti abbia lasciato nell’uomo moderno una serie di tratti adattativi, sia vantaggiosi che svantaggiosi.
Circa 35.000 anni fa, nei reperti umani iniziano ad apparire tratti fisici più moderni, come sopracciglia meno pronunciate e mandibole più leggere, nonché un cambiamento nella struttura cerebrale. Questi sviluppi coincidono con un processo di controselezione genetica che ha favorito le capacità cognitive avanzate dell’Homo sapiens, conferendogli un vantaggio evolutivo rispetto ai Neanderthal. Sebbene simili sotto molti aspetti e con una notevole condivisione genetica, Sapiens e Neanderthal mostravano anche differenze evidenti: i Neanderthal erano generalmente più robusti e bassi, con ossa spesse, arti brevi e una cassa toracica più ampia che suggeriva una muscolatura respiratoria più sviluppata. Interessante è anche il confronto tra le dimensioni e la forma del cervello: i Neanderthal avevano un cervello più voluminoso, ma questo non significava una maggiore intelligenza. Studi recenti, come quelli dello stesso professor Gabriele Sansalone, hanno approfondito la differenza tra le strutture cerebrali delle due specie, rivelando che il cervello dell’Homo sapiens si distingue per la sua plasticità, nota come “sindrome di Peter Pan”. Questa plasticità permette al cervello umano di mantenere un alto livello di coordinazione tra le diverse subunità cerebrali, che continuano a collaborare e a adattarsi anche in età adulta. Al contrario, il cervello dei Neanderthal e degli altri primati tende a perdere tale coordinazione durante la crescita, limitando la capacità di apprendimento e innovazione nelle fasi più avanzate della vita. Questa “giocosità” cerebrale dell’Homo sapiens, che si manifesta nella curiosità e nella capacità di apprendere schemi nuovi anche in età matura, potrebbe essere stata uno degli elementi chiave per il successo evolutivo della nostra specie rispetto ai Neanderthal.
L’analisi della vita e delle caratteristiche dei Neanderthal ci porta a rivedere le percezioni tradizionali su questa specie, rivelando una società complessa e culturalmente ricca, dotata di capacità intellettive e sociali che hanno permesso loro di adattarsi e prosperare in ambienti diversi per centinaia di migliaia di anni. Tuttavia, l’incontro con l’Homo sapiens, una specie più versatile e con caratteristiche cognitive particolarmente adattive, ha segnato l’inizio di un declino che ha portato all’estinzione dei Neanderthal. Le tracce del loro DNA, però, persistono ancora oggi, testimoniando una storia di convivenza e scambio genetico che ha arricchito il patrimonio dell’uomo moderno, influenzandone sia l’evoluzione fisica che quella culturale. In questo contesto, le scoperte genetiche e archeologiche portano alla luce una relazione complessa in cui l’Homo sapiens è emerso come la specie dominante, ma non senza aver ricevuto importanti contributi dai Neanderthal. Attraverso una combinazione di adattamenti fisici e innovazioni culturali, i Sapiens hanno superato i loro antichi parenti, ma la nostra eredità genetica e la comprensione delle loro capacità mostrano quanto la nostra storia sia profondamente intrecciata. I Neanderthal ci lasciano così un’importante eredità: un invito a esplorare l’incredibile variabilità e potenzialità dell’intelletto umano, una lezione sull’importanza della cooperazione e della diversità, e una testimonianza tangibile del percorso evolutivo condiviso che ci ha portato fino a oggi.