La poliomielite è una delle malattie infettive più temute del XX secolo, si diffondeva soprattutto tra i bambini, spesso portando a paralisi irreversibili e, nei casi più gravi, alla morte. La storia della poliomielite non è solo il racconto di una battaglia scientifica contro un virus, ma anche un viaggio attraverso le reazioni della società, la paura collettiva e la speranza di superare la malattia. Ripercorrere questa storia ci offre uno sguardo su come la società è stata capace di mobilitare risorse e creare campagne di vaccinazione di massa che hanno gettato le basi per le future campagne di salute pubblica. Durante il settimo incontro di Caffè Scienza, Agnese Collino ha descritto come, nonostante i progressi nel debellare molte malattie infettive, la poliomielite resti un simbolo potente: una lezione sull’importanza della prevenzione e della cooperazione collettiva nella protezione del benessere comune.
Agnese Collino, originaria del Friuli, è laureata in Biologia Molecolare e ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, concentrando la sua attività scientifica sullo studio dei tumori legati all’infiammazione cronica, con particolare attenzione al fegato. Attualmente è supervisore scientifico presso la Fondazione Umberto Veronesi e si dedica alla divulgazione scientifica. È autrice del libro “La malattia da 10 centesimi. Storia della polio e di come ha cambiato la nostra società”
Nel 2017, Agnese Collino si imbatte per puro caso in un post su Facebook che celebra il compleanno di Albert Sabin, uno dei pionieri del vaccino contro la poliomielite. Curiosa di approfondire l’argomento, inizia a cercare materiale divulgativo sulla storia della poliomielite, trovando però solo un breve testo, si orienta quindi, verso testi americani e scopre una storia che la affascina profondamente. La vicenda della poliomielite, con le sue complessità e implicazioni sociali, va ben oltre l’aspetto scientifico: è un racconto avvincente, che rivela il lato umano della ricerca, con momenti di difficoltà e percorsi accidentati.
La poliomielite è una malattia virale causata da tre ceppi di virus – polio 1, polio 2 e polio 3 – che si trasmette tramite contagio oro-fecale e colpisce inizialmente l’apparato gastrointestinale. In molti casi, il virus si limita a colonizzare l’intestino senza causare sintomi evidenti o provocando solo una leggera gastroenterite, facilmente confondibile con un’influenza intestinale; tuttavia, in circa un caso su 100, il virus riesce a superare la barriera intestinale, entrare nel circolo sanguigno e diffondersi fino a raggiungere i motoneuroni, portando a danni muscolari che possono causare paralisi temporanea o permanente. La paralisi può colpire solo piccole aree del corpo, come un piede o una mano, costringendo all’utilizzo di protesi rudimentali molto pesanti; ma nei casi più gravi può interessare tutti i muscoli, inclusi quelli respiratori. Questo rendeva necessario l’uso di supporti respiratori e negli anni ‘30, il “polmone d’acciaio” era l’unico dispositivo disponibile: si trattava di un grande cilindro metallico in cui il paziente veniva posizionato, lasciando fuori solo la testa e tramite una pompa si creava un gioco di pressioni che permetteva ai polmoni di espandersi passivamente. Alcuni pazienti trascorrevano mesi o addirittura la vita intera all’interno di questo apparecchio, a seconda della durata della paralisi dei muscoli respiratori.
La poliomielite incuteva profondo timore, al punto che, negli anni ’50, i sondaggi americani rivelavano che, dopo la bomba atomica, il terrore maggiore per la popolazione era proprio la poliomielite. Il potere di questa malattia non risiedeva nei numeri, ma nel fatto che, nonostante le statistiche, divenne una priorità per la sanità pubblica. Questa malattia, antica ma mai realmente epidemica, iniziò a diffondersi in modo significativo solo tra fine 800 e inizio 900, paradossalmente in coincidenza con il miglioramento delle condizioni igieniche. I primi focolai rilevanti apparvero in Europa, nei Paesi scandinavi e negli Stati Uniti, colpendo famiglie benestanti in ambienti puliti. Questo mise in crisi la scienza dell’epoca, che da poco aveva sviluppato la teoria dei germi e associato il concetto di infezione alla mancanza di igiene. La poliomielite però, smentiva queste premesse, poiché colpiva proprio le famiglie dei contesti sociali più agiati. La spiegazione più convincente arrivò da Albert Sabin, uno dei protagonisti nella lotta alla poliomielite: egli ipotizzò che i bambini cresciuti in ambienti meno igienici incontrassero il virus in età precoce, quando potevano ancora beneficiare degli anticorpi materni, sviluppando così un’immunità naturale. I bambini cresciuti in ambienti puliti, invece, venivano esposti più tardi e senza protezioni immunitarie, rischiando così di ammalarsi in modo più grave.
Il primo grande protagonista di questa storia ed esempio emblematico degli effetti devastanti della poliomielite è Franklin D. Roosevelt: nel 1921, poco dopo il ritorno dalla Prima Guerra Mondiale e sopravvissuto all’epidemia di spagnola, contrasse la malattia che gli causò gravi disabilità motorie, colpendo in particolare le gambe. Per lui, questo, era grande problema poiché stava cercando di ottenere la posizione di governatore di New York, ma all’epoca la società americana relegava i disabili ai margini e non era concepito che potessero avere un ruolo speciale: i ricchi venivano nascosti in residenze lontane, mentre i meno abbienti restavano invisibili nelle loro case. Nonostante questo, con l’appoggio della moglie Eleanor, Roosevelt proseguì nella sua carriera politica, diventando prima governatore di New York e, nel 1932 proprio nel periodo difficile della Grande Depressione, il presidente più amato e longevo degli Stati Uniti con 4 mandati fino alla sua morte nel 1945. Il suo ruolo di leader ispirò e diede speranza a molte persone con disabilità, che iniziarono a scrivere alla Casa Bianca sentendosi rappresentate da qualcuno che nella vita ce l’aveva fatta: Roosevelt contribuì a cambiare la percezione dei disabili nella società, dimostrando che, non solo poteva vivere una vita piena, ma anche assumere ruoli di leadership. Il suo esempio influenzò così, anche il concetto di riabilitazione: nel 1946, venne istituita la riabilitazione medica, evolvendosi dalla semplice “ginnastica medica” praticata fino ad allora. Questa trasformazione sancì il diritto alla riabilitazione e l’opportunità per le persone disabili di reinserirsi attivamente nella società.
Roosevelt è ricordato come figura chiave nella lotta contro la poliomielite grazie alle sue iniziative innovative per finanziare la ricerca e il sostegno ai malati: durante il suo mandato, fondò diverse organizzazioni per raccogliere fondi destinati sia alla ricerca sulla malattia sia all’assistenza dei pazienti a lungo termine, molti dei quali non potevano permettersi cure prolungate. Tra queste, la più significativa fu la National Foundation for Infantile Paralysis, istituita nel 1938, che divenne un modello per le moderne organizzazioni benefiche. Questa fondazione fu pionieristica nell’introdurre un comitato scientifico interno, una prassi oggi comune ma all’epoca inedita. La National Foundation rivoluzionò il concetto di beneficenza, che negli anni ’20 e ’30 negli Stati Uniti era un’attività prevalentemente riservata ai più ricchi; tuttavia, con la crisi del ’29 e la conseguente diminuzione di donatori ricchi, si rese necessario un nuovo approccio. Eddie Cantor, noto comico radiofonico e amico di Roosevelt, propose una campagna in cui anche le persone comuni, attraverso piccoli contributi, potevano fare la differenza. Nacque così la “March of Dimes” o “marcia delle monetine”, che invitava tutti gli americani, indipendentemente dalla loro condizione economica, a contribuire con pochi centesimi per aiutare le persone colpite dalla poliomielite. In pochi giorni, la Casa Bianca ricevette oltre 1.800.000 dollari in donazioni, dimostrando la forza dell’unione nazionale verso un obiettivo condiviso. In aggiunta Roosevelt grazie alla collaborazione con la casa cinematografica Metro-Goldwyn-Mayer, riuscì a coinvolgere personalità note come testimonial per la raccolta fondi, creando un modello vantaggioso sia per le star che per le campagne. Questo esperimento gettò le basi per l’attuale uso di figure pubbliche a supporto di iniziative sociali. Il successo della “March of Dimes” non solo portò aiuto concreto ai malati, ma consolidò un nuovo modello di beneficenza inclusiva e popolare. Il volto di Roosevelt, in segno di riconoscimento, è ancora oggi raffigurato sulla moneta da dieci centesimi, il “dime”, simbolo della solidarietà che unì l’intero Paese.
I fondi raccolti attraverso la “March of Dimes” trasformarono la National Foundation for Infantile Paralysis nella charity più ricca degli Stati Uniti, consentendole di concentrare risorse significative sulla ricerca per la poliomielite e questo reindirizzò gli obiettivi di ricerca del virologo Jonas Salk: fino a quel momento si era occupato di influenza ma decise di dedicarsi alla poliomielite. Salk, oltre alle sue capacità scientifiche, si distinse per la disponibilità a comunicare e a partecipare a interviste, divenendo presto un testimonial in camice bianco della fondazione e un punto di riferimento pubblico nella lotta contro la poliomielite. Negli anni ’50, con l’intensificarsi delle epidemie estive di poliomielite e l’ansia crescente tra i genitori, la figura di Salk divenne sempre più popolare. Quando nel 1954 Salk annunciò di aver sviluppato un possibile vaccino, l’attesa per una soluzione era palpabile e le notizie sul vaccino occupavano quotidianamente le prime pagine. La sperimentazione, tra le più estese nella storia della medicina, coinvolse numerosi bambini americani, e i risultati furono tenuti riservati persino allo stesso Salk e la rivelazione finale dei dati avvenne durante una conferenza stampa all’Università del Michigan, a cui parteciparono circa 1.000 persone e 120 cronisti internazionali. L’attesa per l’annuncio era così forte che alcune testate, in possesso delle informazioni sotto embargo, pubblicarono in anticipo la notizia del successo del vaccino e poco prima della conferenza, i telegiornali americani divulgarono la notizia che il vaccino funzionava ed era sicuro, scatenando celebrazioni in tutto il Paese. Salk fu immediatamente celebrato come un eroe, sia negli Stati Uniti sia all’estero: in Italia, il Corriere della Sera titolava “Sconfitto dalla scienza uno dei fardelli dell’umanità: la vittoria contro la poliomielite”.
Nel 1957, come accaduto recentemente con la pandemia da Covid-19, la comunità scientifica si trovò a dibattere sull’efficacia dei vaccini contro la poliomielite, con pareri discordanti sul vaccino inattivato sviluppato da Jonas Salk. Il vaccino di Salk, basato su tre ceppi inattivati del virus trattati con formaldeide e somministrati tramite iniezione, non bloccava del tutto la trasmissione della malattia ma era efficace nel prevenire le forme gravi come la paralisi. Tuttavia, alcuni virologi ritenevano che un vaccino a virus attenuato, ovvero con virus vivo, ma reso innocuo, sarebbe stato più efficace nel produrre immunità completa. Questo vaccino, infatti, somministrato per via orale, avrebbe colonizzato l’intestino, garantendo un’immunità a livello intestinale che avrebbe impedito la diffusione del virus. Tra i principali sostenitori di questo approccio c’era Albert Bruce Sabin, che sviluppò un vaccino a virus attenuato. Negli Stati Uniti, però, gran parte della popolazione era già stata vaccinata con il vaccino di Salk, così Sabin portò avanti le sue sperimentazioni nell’Unione Sovietica, dove il suo vaccino dimostrò un’elevata efficacia e fu rapidamente adottato, sostituendo quello di Salk. Il vaccino orale di Sabin divenne popolare anche per la sua modalità di somministrazione, che prevedeva una zolletta di zucchero o uno sciroppo dolce. Questa caratteristica contribuì a diffonderne l’uso e a radicarlo nell’immaginario collettivo, tanto che ispirò la celebre canzone “Basta un poco di zucchero e la pillola va giù” nel film Mary Poppins. L’autore della colonna sonora, non trovando un ritornello che soddisfacesse Walt Disney, si ispirò al racconto entusiasta del figlio che, tornato da scuola, descrisse la vaccinazione con la zolletta di zucchero, dando origine al famoso motivo. Oggi, la poliomielite non è stata completamente eradicata, e numerosi sopravvissuti stanno affrontando una nuova fase della malattia, nota come sindrome post-polio. Questa condizione, che si manifesta mediamente a trent’anni dall’infezione originale, provoca un peggioramento delle capacità motorie anche in chi era riuscito a recuperare completamente, spesso rendendo necessario il ritorno alla sedia a rotelle. Attualmente, tuttavia, non esiste una ricerca adeguata su questa sindrome, lasciando i pazienti con poche risorse per affrontare la ricaduta.
La storia della poliomielite rappresenta una lezione di straordinaria importanza sulla capacità della scienza e della società di collaborare per affrontare una minaccia comune. È un racconto di progresso, resilienza e sfide mediche e sociali, che ha influenzato profondamente il nostro modo di concepire la sanità pubblica e la solidarietà sociale.