Fino al secolo scorso, il cambiamento climatico era considerato solo un allarme un po’ sensazionalistico di scienziati misconosciuti; attualmente i cambiamenti climatici sono diventati tangibili per tutti noi, tranne ovviamente per chi preferisce immedesimarsi nello struzzo che nasconde la testa sotto la sabbia per ignorare un problema. Osserviamo ogni giorno qualche differenza, dall’affermazione ormai banale “non ci sono più le stagioni di una volta” fino alla grave siccità che ha colpito il fiume Po quest’anno. Il fiume più lungo d’Italia, con i suoi 652 km e 141 affluenti, inizia a risentire di quella siccità collegata all’innalzamento della temperatura globale.

Luigi Bruno, professore di Geologia stratigrafica e sedimentologica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, ha raccontato alla platea del Caffè Scienza come è cambiato il fiume Po nel passato per capire come cambierà in futuro. Questa storia è iniziata 1 milione di anni fa, quando i fiumi che drenavano le catene alpina e appenninica hanno portato a valle un quantitativo di detriti così elevato che il golfo padano allora presente si è chiuso; man mano che si formava la pianura Padana, il Po si allungava, anche se con avanzate e ritirate a causa dei cambiamenti climatici. Negli ultimi due milioni di anni, infatti, il clima ha oscillato tra caldo e freddo. Le oscillazioni di temperature sono state caratterizzate dal glacioeustatismo, cioè dall’innalzamento e dall’abbassamento su scala globale del livello medio dei mari a causa dello scioglimento e del congelamento delle calotte polari. 200’000 anni fa il livello del mare era più basso di 120 metri, le Alpi erano ricoperte dai ghiacci e gran parte dell’Adriatico settentrionale era esposto; all’epoca il Po sfociava vicino a Pescara e il suo letto era lungo 1000 km e in alcuni punti largo 20 km. 18’000 anni fa le temperature salirono velocemente e lo scioglimento delle calotte polari causò un innalzamento del livello dei mari: la risalita dell’Adriatico soffocava il fiume Po, che quindi per un periodo ebbe una foce ad estuario. Circa 7’000 anni fa la linea costiera era tanto più interna di quella attuale che l’ultimo estuario del Po arrivava tra Modena e la provincia reggiana. Negli ultimi 7’000 anni però gli affluenti del Po hanno portato a valle così tanto materiale che il Po ha riguadagnato lunghezza e si è formato il suo delta.

Circa 9’000 anni fa è iniziata la neoglaciazione, con una fase di raffreddamento che lentamente avrebbe dovuto portare alla successiva glaciazione. A causa di questa piccola età glaciale, il Po destava preoccupazione per l’intensa attività alluvionale. Questa tendenza però si è conclusa nel 1950: l’emissione di grandi quantitativi di gas serra ha invertito il processo di neoglaciazione, generando una fase di riscaldamento climatico a matrice antropica. Se l’aumento di temperatura globale fosse 1,5 gradi Celsius, la scarsità d’acqua riguarderebbe “solo” il 18% della popolazione globale; se l’aumento fosse di 2 gradi, la scarsità d’acqua arriverebbe a toccare il 54% della popolazione.

Bisogna valutare le strategie che contribuiscono a mitigare il rischio e gli effetti della siccità, innanzitutto con la riforestazione e il recupero delle aree umide costiere: le aree umide costiere sono molto più efficaci rispetto ai boschi nel trattenere la CO2 dall’atmosfera perché nel caso dei boschi le piante cadute vengono decomposte e il carbonio riutilizzato da altre specie viventi mentre nel caso delle aree umide il materiale organico sedimenta e a causa della fermentazione anaerobica a cui va incontro non libera carbonio nell’atmosfera. Poiché i metodi di gestione della domanda in presenza di elevati livelli di riscaldamento potrebbero non essere sufficienti, bisogna attuare strategie alternative come un’agricoltura basata su specie con un ridotto fabbisogno idrico o la ricarica artificiale degli acquiferi, cioè portare l’acqua in falda acquifera (in questo modo si ottengono riserve di acqua nei momenti di piena più efficienti di laghi e bacini artificiali perché si riduce l’evaporazione). È importante evitare soluzioni che per avere benefici in un settore possono produrre effetti negativi su altri ambiti; ad esempio la desalinizzazione aumenta la disponibilità della risorsa idrica ma è estremamente energivora. Anche le scelte alimentari sono importanti perché il consumo eccessivo di carne porta a richieste di acqua molto elevate.

La siccità del Po è iniziata a febbraio, proseguita per una primavera poco piovosa, aggravata da un’estate calda e asciutta e continuata in un ottobre che, anziché rientrare normalmente come mese più piovoso dell’anno, non ha visto piogge. Il nuovo aspetto del Po è l’ennesimo campanello d’allarme che speriamo non venga ignorato: uno stormo di struzzi rimarrebbe impreparato di fronte ai cambiamenti climatici e il problema sfonderebbe gli argini.

Il fiume Po. Come è cambiato e come cambierà in risposta ai cambiamenti climatici