Da sempre gli esseri umani si interrogano su come tutto abbia avuto inizio: da dove proviene la materia di cui siamo fatti, come si è formato il cielo e quale sarà il destino del cosmo. Le più recenti scoperte della fisica e dell’astronomia hanno permesso di ricostruire con crescente precisione la storia dell’universo, dalle sue origini primordiali fino alla nascita delle prime stelle e galassie. Nel corso della quarta serata di “Caffè Scienza”, il professor Enrico Bertuzzo ha guidato il pubblico attraverso le tappe fondamentali di questo lungo viaggio cosmico, mostrando come le leggi della fisica moderna consentano di comprendere l’evoluzione dell’universo, dalle sue origini fino a ciò che osserviamo oggi.

Il professore Enrico Bertuzzo ha conseguito la laurea triennale e quella magistrale in Fisica presso l’Università di Padova, per poi proseguire il proprio percorso accademico con un dottorato di ricerca alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Successivamente ha svolto due post-dottorati all’estero, a Parigi e a Barcellona. Dal 2015 al 2023 ha insegnato presso l’Università di São Paulo, in Brasile, e dal 2023 ricopre il ruolo di professore associato di Fisica Teorica presso il Dipartimento di Scienze Fisiche, Informatiche e Matematiche dell’Università di Modena e Reggio Emilia. La sua attività di ricerca si concentra sull’intersezione tra fisica delle particelle e cosmologia, con l’obiettivo di comprendere la natura più profonda e i costituenti fondamentali del nostro universo.

Il nostro universo ha un’età di circa 14 miliardi di anni. A differenza di molti altri ambiti scientifici, in cosmologia disponiamo di un solo esperimento, quello del nostro universo: non possiamo ripeterlo, né osservare alternative. Da questo unico caso dobbiamo quindi ricavare tutte le informazioni possibili per comprendere ciò che è accaduto nel passato cosmico. Il professor Bertuzzo ha introdotto la serata presentando i principali “protagonisti” della storia dell’universo e le corrispondenti evidenze sperimentali. Sul piano macroscopico, i protagonisti sono stelle, galassie e ammassi. È fondamentale ricordare che le stelle non sono eterne: hanno una vita finita e hanno richiesto da centomila a centinaia di milioni di anni per formarsi. L’universo però, è uno dei pochi sistemi in cui le leggi del microscopico plasmano direttamente la struttura del macroscopico, ovvero ciò che avviene nel mondo infinitamente piccolo influenza in modo determinante ciò che accade su scala cosmica ed è per questo che è importante conoscere anche i protagonisti microscopici, il primo di questa scala è l’atomo. L’atomo può essere suddiviso in un nucleo e in elettroni. Gli elettroni sono particelle elementari, mentre i nuclei possono essere ulteriormente divisi in protoni e neutroni, che a loro volta sono composti da particelle più elementari, i quark. Accanto alla materia ordinaria esistono poi particelle senza massa: i fotoni, le particelle di luce, che hanno avuto un ruolo essenziale nelle prime fasi della storia cosmica. Le particelle non sono strutture fisse: sottoponendole a pressioni o energie sufficientemente elevate, possono “rompersi” nei loro componenti più elementari. Applicando pressioni crescenti, gli atomi si scindono in nuclei ed elettroni, i nuclei in protoni e neutroni, e questi ultimi infine in quark. Le strutture dell’universo, come le stelle, hanno richiesto tempo per formarsi; dal punto di vista microscopico, invece, la materia può essere scomposta se sottoposta a sufficiente energia o pressione. Due prospettive complementari che, insieme, ci permettono di comprendere la straordinaria complessità e coerenza della storia del nostro universo.

Le principali evidenze sperimentali che ci permettono di ricostruire la storia dell’universo risalgono a circa un secolo fa, quando l’astronomo Edwin Hubble compì una scoperta rivoluzionaria: l’universo non è statico, come si pensava all’epoca, ma in espansione. Osservando le stelle e le galassie, Hubble notò che, in media, tutti gli oggetti celesti si stanno allontanando da noi. Questo movimento generale implica che lo spazio stesso si sta dilatando, portando le galassie a separarsi le une dalle altre nel tempo. Circa venticinque anni fa, un’ulteriore scoperta ha modificato profondamente la nostra comprensione del cosmo: l’universo non solo si espande, ma lo fa in modo accelerato. In altre parole, la velocità con cui le galassie si allontanano da noi aumenta nel tempo. Misurando la velocità di allontanamento delle galassie in epoche diverse, gli scienziati hanno potuto verificare che oggi esse si muovono più rapidamente di quanto facessero in passato. Questa accelerazione dell’espansione cosmica rappresenta una delle grandi sfide aperte della cosmologia moderna, poiché implica la presenza di un’energia sconosciuta, la cosiddetta energia oscura, che agisce su scala universale. Da questa espansione derivano conseguenze cruciali. Se l’universo si espande oggi, significa che in passato era più denso e compatto: immaginando di far scorrere il tempo all’indietro, le galassie e le stelle si troverebbero progressivamente più vicine, fino a convergere in uno stato primordiale di densità ed energia elevatissime. Questo principio ci consente di capire come doveva apparire l’universo nei suoi primi istanti di vita, anche quando aveva solo pochi minuti di età. Tuttavia, la domanda fondamentale resta: che cosa accadde prima della formazione delle stelle? Per rispondere, possiamo utilizzare un’analogia. Se immaginiamo che l’universo si comporti come una pressa che comprime un insieme di oggetti, man mano che andiamo indietro nel tempo la “pressione” aumenta. A un certo punto, ciò che si trova all’interno inizia a rompersi in componenti sempre più piccoli. Allo stesso modo, più risaliamo indietro nel tempo cosmico, maggiore è la pressione e quindi le strutture della materia si disgregano: prima gli atomi si separano in nuclei ed elettroni, poi i nuclei si scindono in protoni e neutroni, e infine questi ultimi in quark, le particelle fondamentali. L’universo primordiale può dunque essere descritto come una “zuppa” di particelle elementari, un ambiente estremamente denso in cui nessuna struttura stabile poteva esistere. Quindi lo dobbiamo immaginare come un posto in cui particelle libere si scontravano le une con le altre dato la pressione altissima.

È necessario soffermarsi sul ruolo delle particelle microscopiche, perché nei primissimi istanti di vita del cosmo, quando l’universo era estremamente piccolo e la pressione molto alta, esso era popolato solo da particelle elementari, non ancora organizzate nelle strutture complesse che osserviamo oggi. In quel periodo iniziale, l’universo era dunque un insieme caotico di componenti fondamentali della materia, immersi in un mare di energia e radiazione. Da questo ragionamento nasce una conseguenza curiosa: se l’universo è in espansione, e se immaginiamo di far scorrere il tempo all’indietro, esso diventa sempre più piccolo. Portando questa idea alle estreme conseguenze, si arriverebbe a un momento in cui l’universo sarebbe stato ridotto a un punto. Tuttavia, dal punto di vista fisico, questa conclusione non può essere corretta: le nostre attuali teorie non sono in grado di descrivere ciò che accade a scale così estreme di densità ed energia. Quando questa teoria venne formulata per la prima volta, l’immagine di un universo concentrato in un punto iniziale fu chiamata Big Bang. Il termine Big Bang è improprio: non si trattò di un’esplosione nello spazio, ma di un’espansione dello spazio stesso. Il “bang” non indica quindi un’esplosione materiale, bensì il momento in cui l’universo cominciò ad espandersi da uno stato primordiale di altissima densità e temperatura. Da quella “zuppa” primordiale di particelle elementari ha avuto inizio l’espansione che, nel corso di miliardi di anni, ha portato alla formazione delle stelle, delle galassie e infine dell’universo come lo conosciamo oggi. 

La cosmologia moderna dispone di dati sperimentali concreti che ci permettono di verificare molte delle ipotesi sul comportamento dell’universo primordiale. Le misurazioni mostrano infatti che, nei suoi primi istanti di vita, l’universo si è comportato come un vero e proprio reattore nucleare: le condizioni estreme di temperatura e densità hanno permesso la fusione dei primi nuclei atomici. Oggi siamo in grado di prevedere e misurare con buona precisione quali e quanti nuclei siano stati prodotti in quella fase, confermando la validità dei nostri modelli teorici. Abbiamo persino una “fotografia” dell’universo primordiale, scattata nel momento in cui atomi e fotoni si sono separati: si tratta della proiezione dell’intero cielo tridimensionale su un piano, che mostra la frequenza dei fotoni provenienti da tutte le direzioni. Questi fotoni appartengono alla banda delle microonde. Osservando il cielo con la luce visibile, vediamo stelle e galassie; ma se lo osserviamo nella banda delle microonde, l’universo appare come un fondo uniforme di radiazione, una sorta di bagliore residuo che pervade tutto il cosmo. In ogni istante siamo letteralmente attraversati da miliardi di fotoni provenienti da quell’epoca antichissima. La formazione dei nuclei atomici, invece, avvenne ancora prima, quando l’universo aveva circa tre minuti di età. Da quel momento in poi, il nostro modello basato sull’espansione cosmica riesce a descrivere in modo coerente l’evoluzione dell’universo per i successivi 14 miliardi di anni. Non abbiamo invece dati diretti su ciò che accadde prima dei tre minuti iniziali, dove le nostre teorie fisiche cessano di essere applicabili. Tuttavia, per spiegare il comportamento complessivo dell’universo, questa “zuppa” di materia e radiazione non basta: i modelli cosmologici moderni richiedono la presenza di due componenti aggiuntive, la materia oscura e l’energia oscura. La prima è necessaria per fornire la gravità sufficiente alla formazione delle galassie: senza di essa, la materia ordinaria non riuscirebbe a condensarsi in strutture così grandi. La seconda, invece, è responsabile dell’espansione accelerata dell’universo. Senza introdurre questo elemento, non potremmo spiegare perché l’espansione osservata stia aumentando di velocità. Oggi sappiamo che la materia ordinaria, cioè quella che forma stelle, pianeti e noi stessi, rappresenta solo il 5% del contenuto totale dell’universo. Circa il 24% è costituito da materia oscura, invisibile ma percepibile attraverso i suoi effetti gravitazionali, mentre la parte largamente dominante, circa il 70%, è energia oscura, una forma di energia misteriosa che permea lo spazio e guida l’espansione cosmica.

La cosmologia moderna ci offre una visione coerente e al tempo stesso incompleta dell’universo: conosciamo con precisione la sua evoluzione dopo i primi istanti, ma restano aperti gli interrogativi sulle origini ultime e sulla natura delle componenti invisibili che lo dominano. Le leggi della fisica ci permettono di ricostruire il passato cosmico con rigore, ma mostrano anche i propri limiti di fronte all’ignoto. Ogni nuova scoperta rafforza la solidità dei modelli cosmologici e contribuisce a rendere sempre più precisa la nostra conoscenza dell’universo.

Universo: una storia delle origini