La transizione ecologica è una tappa obbligata dei prossimi anni e stiamo iniziando a vederla e a viverla con l’elettrificazione, ad esempio la sostituzione di macchine con motore termico con macchine elettriche. Rapidamente però ci stiamo accorgendo che le batterie al litio saranno un forte freno a questo tipo di transizione. Serve quindi un metodo alternativo, che possa accoppiare l’elettricità a un diverso sistema di immagazzinamento. La risposta si potrebbe trovare nell’idrogeno e nell’economia circolare. Su questo tema sono intervenuti i due ricercatori Marco Puglia e Simone Pedrazzi all’interno del laboratorio di Giulio Allesina, professore di Fisica Tecnica Industriale presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.
Durante la combustione di idrogeno, a differenza di quanto accade con i combustibili fossili, non si produce CO2 bensì acqua. Se l’elettricità utilizzata per produrre idrogeno derivasse da energie rinnovabili, questo sistema sarebbe perfettamente ad impatto zero. L’idrogeno da elettricità rinnovabile permetterebbe di incanalare grandi quantità di energia nei settori nei quali l’elettrificazione e quindi la decarbonizzazione è altrimenti difficile. Ad esempio, nel caso dell’energia solare, è necessario un metodo che conservi l’energia durante la notte e questo non può passare attraverso enormi batterie. L’idrogeno è un gas che può essere compresso e reso quindi facilmente trasportabile al pari di un combustile fossile; l’idrogeno immagazzinato è l’unica possibilità per sostituire i combustibili fossili nei mezzi di trasporto pesanti come tir e navi, per i quali di sicuro non è possibile immagazzinare la sufficiente energia elettrica in una batteria.
Attualmente l’efficienza di trasformazione delle energie elettriche rinnovabili in idrogeno è circa 60-80%. Bisogna infatti considerare che ciascun processo di trasformazione ha costi e una dispersione di energia. Per considerare il processo nel suo complesso, bisogna calcolare l’emergia, cioè il bilancio energetico di tutte le componenti. Dietro un litro di benzina c’è l’energia utilizzata per la produzione, il servizio, la pubblicità. Per inventare qualcosa di davvero sostenibile nel lungo periodo, bisogna trovare strade emergeticamente vantaggiose. Speriamo quindi che lo sviluppo tecnologico porti l’idrogeno su questa strada. Attualmente ci sono paesi che stanno investendo molto in questo settore perché hanno già grandi quantitativi di energie rinnovabili: questo permetterà di rinnovare presto le infrastrutture e arrivare a prezzi concorrenziali con i combustibili fossili.
Una fonte possibile di idrogeno si può trovare nelle biomasse residuali da settore agroalimentare che, in un’ottica di economia circolare, potrebbero essere davvero molto utili. I ricercatori coordinati dal professore Allesina si occupano praticamente di diversi studi in questo senso. Hanno ad esempio progettato una macchina che trasforma gli scarti della potatura della vite per produrre energia termica per bruciare le erbacce che assediano le piante, evitando diserbanti chimici, oppure energia elettrica per alimentare i motogeneratori usati per l’irrigazione, risparmiando il gasolio del motore. Hanno poi utilizzato gli scarti agroalimentari per produrre carbone vegetale, molto utile per ottimizzare il compostaggio, riducendo il rilascio di metano nell’atmosfera, o per trattare i liquami di allevamenti di suini, riducendo il rilascio di ammoniaca.
Molti scarti agroalimentari possono essere trasformati in pellet, più facili da utilizzare. Infatti, il legname prodotto dalla potatura della vite o lo scarto della filiera della canapa o del cotone (di cui viene utilizzato solitamente solo il fiore) hanno grandi volumi. Anche le bucce di castagna e i gusci di pistacchi, noci e nocciole sono stati utilizzati dai ricercatori per produrre pellet. Il vantaggio di tutti questi sistemi è che nonostante nel processo di pellettizzazione si utilizzi energia, a livello emergetico è ancora tutto favorevole perché in questo contesto ogni piccolo quantitativo di energia è un guadagno perché si parte da scarti che devono comunque essere smaltiti, con un costo energetico che se non viene accoppiato a questi sistemi è solo dissipazione.
In questo Caffè Scienza abbiamo toccato con mano l’impegno dei ricercatori occupati nella transizione ecologica: questi ricercatori ci hanno riportato esempi concreti di come il sistema dovrebbe cambiare per sfruttare al millesimo ogni fonte energetica a nostra disposizione. Dobbiamo solo sperare che i fondi per la transizione ecologica continuino ad arrivare e anzi aumentino e che non aumentino invece le politiche miopi che vedono la transizione energetica come uno scopo così lontano nel tempo da poterlo trascurare.