L’utilizzo della botanica, della palinologia e della micologia forense si è rivelato un potente strumento nell’investigazione di crimini complessi. Queste discipline consentono di raccogliere informazioni cruciali attraverso l’analisi di tracce vegetali, pollini o spore fungine, spesso presenti su scene del crimine o su oggetti e indumenti dei sospettati. Durante il nono incontro di Caffè Scienza, Assunta Florenzano ha raccontato al pubblico come l’approccio forense alla botanica integra scienza e investigazione, supportando gli inquirenti con dati oggettivi che possono confermare o smentire ipotesi investigative.
Assunta Florenzano è professoressa associata di Botanica sistematica presso il Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Dopo la Laurea Specialistica in Scienze per il Recupero e la Conservazione del Patrimonio Archeologico nel 2008, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in “Earth System Sciences: environment, resources and cultural heritage” nel 2013. I suoi interessi di ricerca sono la palinologia e la paleoecologia, l’analisi dei pollini da depositi archeologici con particolare attenzione ai palinomorfi non pollinici come i funghi coprofili e l’impatto antropico sulla vegetazione.
Negli ultimi anni, le scienze forensi hanno guadagnato grande visibilità, grazie al successo di serie televisive. Tuttavia, questa esposizione tende a semplificare un ambito in realtà complesso, dove l’interdisciplinarietà gioca un ruolo cruciale: l’utilizzo della botanica nelle indagini criminali è una pratica articolata che va ben oltre le rappresentazioni televisive. Nelle scene del crimine, gli operatori, spesso appartenenti alle forze dell’ordine, si occupano della raccolta di indizi materiali, ma è il lavoro successivo, svolto in laboratorio, che permette di analizzare i dati e integrarli con competenze scientifiche specialistiche. La botanica forense è solo uno dei tasselli di questo processo, che richiede il dialogo continuo con esperti di altri settori, come tossicologi, balistici e chimici, per confermare e contestualizzare le evidenze raccolte. Questo approccio multidisciplinare è essenziale per risolvere i casi criminali in modo efficace.
Prima dell’introduzione di metodologie scientifiche moderne, le tecnologie forensi si avvalevano della collaborazione di botanici per risolvere casi complessi. L’indagine su avvelenamenti e omicidi vedeva, accanto alla figura del tossicologo, quella del botanico, il cui ruolo era cruciale per comprendere le circostanze della morte. Tra le piante frequentemente associate a crimini, la digitale riveste un posto di rilievo: questa specie contiene la digitossina, un potente alcaloide con effetti cardiotossici. Un caso emblematico è quello di Cangrande della Scala, signore di Verona, morto nel XIV secolo per un avvelenamento attribuito alla digitale. La sua tomba, riesumata negli anni 2000 presso le Arche Scaligere, ha rivelato tracce di polline della pianta nell’area addominale, fornendo una prova botanica a supporto dei sintomi descritti nei resoconti storici. Un’altra pianta letale è il tasso, noto come “pianta della morte”. Tutte le sue parti, eccetto l’arillo, il rivestimento carnoso del seme, sono tossiche a causa della tassina, un alcaloide neurotossico. Gli uccelli possono cibarsi dell’arillo senza subire danni, poiché ingoiano il seme intero senza romperlo, impedendo il rilascio della sostanza tossica. Infine, la cicuta è famosa per il suo ruolo nella morte di Socrate, descritta da Platone nel Fedone, questa pianta contiene alcaloidi neurotossici, responsabili di effetti letali sul sistema nervoso.
Il primo caso noto a livello mondiale di utilizzo della botanica forense, considerato un evento epocale nella storia delle scienze investigative, risale agli anni ’30 e riguarda il rapimento del figlio minore di Charles Lindbergh. L’aviatore, celebre per la sua storica traversata in solitaria dell’Atlantico da New York a Parigi, aveva attirato l’attenzione di malviventi a causa della sua notorietà. Il rapimento si concluse tragicamente con l’uccisione del bambino, e il caso divenne noto come uno dei più emblematici del secolo. La risoluzione del caso Lindbergh si basò su un’applicazione della botanica forense: la prova decisiva fu una scala a pioli, costruita con legno analizzato da un esperto botanico, attraverso l’esame delle caratteristiche del legno ovvero essenza, specie arborea e cerchi annuali, si scoprì che uno dei pioli combaciava perfettamente con un pezzo mancante di un’asse del portico della casa del giardiniere della tenuta Lindbergh. Sebbene inizialmente non sospettato, il giardiniere fu collegato al crimine grazie a questa prova e, nonostante si fosse dichiarato innocente fino alla fine, fu condannato a morte e giustiziato nel 1986. Il caso stabilì un precedente importante nel mondo anglosassone, dove le evidenze botaniche, sia microscopiche sia macroscopiche, sono da allora considerate prove scientifiche valide nei processi penali. In Italia, invece, il panorama è diverso: le evidenze botaniche possono essere presentate, ma non hanno valore probatorio sufficiente per portare a una condanna se non supportate da ulteriori elementi. Dal 1932, anno del celebre caso Lindbergh, la botanica forense ha compiuto enormi passi avanti, consolidandosi come disciplina scientifica. Tuttavia, tra il 1932 e gli anni 2000, pur essendo stata applicata in numerosi casi investigativi, la sua rilevanza è rimasta spesso nell’ombra e questo è dovuto al vincolo del segreto istruttorio, che impediva ai botanici coinvolti di divulgare dettagli sui casi. Sebbene chiamati a testimoniare in tribunale, non potevano pubblicare i risultati del loro lavoro, limitando così la diffusione di conoscenze e protocolli all’interno della comunità scientifica. Solo con l’inizio degli anni 2000, grazie alla crescente consapevolezza dell’importanza dell’interdisciplinarietà, si è sentita l’esigenza di codificare e condividere questi protocolli. Diversi manuali sono stati pubblicati in quel periodo, raccogliendo casi ed esperienze, e ancora oggi rappresentano riferimenti fondamentali per la disciplina. In Italia, una figura chiave nella promozione della botanica forense è stata l’antropologa forense Cristina Cattaneo. Nota per il suo lavoro in numerosi casi investigativi, ha coinvolto botanici dell’Università di Milano nei suoi studi e ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di questa scienza. Nel suo libro Crimini e farfalle, ha dedicato una sezione significativa alla botanica forense, evidenziandone l’utilità nei processi investigativi e il potenziale ancora da esplorare nel panorama italiano.
La botanica forense comprende l’analisi di materiali vegetali presenti sulla scena del crimine, offrendo informazioni fondamentali per le indagini. Le piante, pur essendo parte costante dell’ambiente, spesso passano inosservate, ma possono fornire prove preziose, sia macroscopiche che microscopiche. Tra queste, pollini, spore fungine, spore di felci e muschi rappresentano elementi cruciali e sebbene invisibili a occhio nudo, richiedono l’uso di strumenti come il microscopio per essere analizzati. Il polline, in particolare, si distingue come una prova chiave per collegare un sospettato alla scena del crimine: dotato di una parete indistruttibile, il polline persiste nel tempo e non può essere eliminato. Grazie alla sua capacità di tracciare i luoghi attraversati e le piante incontrate, può raccontare movimenti e interazioni avvenute. Le piante, inoltre, lasciano tracce sui corpi e sugli oggetti, permettendo di connettere vittime, sospettati e luoghi del delitto. I materiali vegetali forniscono anche informazioni cronologiche: analizzando il polline intrappolato sotto un cadavere, si può determinare il momento della caduta del corpo al suolo, in relazione al polline presente nell’aria sopra il cadavere. Confrontando questi dati, si possono stabilire la stagione e il periodo dell’omicidio. Le prove botaniche possono confermare o smentire alibi e, in ambiti più tecnici, supportano indagini condotte da nuclei antisofisticazione e in questo modo, la botanica forense si configura come un tassello fondamentale nelle scienze criminali, capace di collegare il colpevole alla scena del crimine con precisione e affidabilità.
Nel contesto scientifico, il lavoro del botanico sulla scena del crimine segue protocolli rigorosi per garantire l’affidabilità dei risultati. La corretta raccolta dei campioni è cruciale: un errore in questa fase può compromettere l’intera indagine, per questo motivo, i protocolli sono insegnati nelle scuole di formazione per le forze dell’ordine, non solo per gli esperti della scientifica ma anche per carabinieri e poliziotti, affinché sappiano gestire la scena del crimine senza contaminarla. Il botanico entra in azione dopo che le altre repertazioni sono state completate. La sua prima attività è l’osservazione della scena: identifica le piante circostanti, scatta fotografie e raccoglie campioni di confronto, questo passaggio è fondamentale perché i materiali vegetali presenti sulla scena possono provenire dall’ambiente circostante o da altre aree, collegando così un sospettato a luoghi diversi. La documentazione precede la raccolta dei campioni: si scattano fotografie dettagliate e si annotano osservazioni prima di prelevare qualsiasi elemento e durante la raccolta, è fondamentale utilizzare buste di carta per evitare il deterioramento causato dall’umidità, oppure conservare i campioni in frigorifero se si usano sacchetti di plastica. Oltre ai campioni principali, si preleva sempre un campione di controllo, come terriccio vicino al cadavere. Questo confronto consente di stabilire se il crimine è avvenuto sul posto o se il corpo è stato trasportato altrove. La conservazione dei campioni è un aspetto critico, soprattutto per la prova del DNA, considerata oggi essenziale nelle indagini. I campioni botanici, così come quelli genetici, devono essere conservati in condizioni ottimali per evitare la degradazione, un problema che in passato rendeva inutilizzabili molte prove vegetali. Questo approccio metodico garantisce che le tracce botaniche siano valorizzate e contribuiscano in modo significativo alla ricostruzione degli eventi criminosi.
La Professoressa Florenzano ha presentato alcuni esempi di casi di omicidio-suicidio significativi dell’uso della botanica forense a Taiwan, dove questa disciplina è particolarmente sviluppata. Uno dei casi illustrati risale agli anni 2000 e riguarda il ritrovamento di una ragazza in un canale di scolo in una città di Taiwan. Inizialmente, si ipotizzava che la giovane fosse stata investita da un furgone, visto che molti testimoni avevano notato un veicolo passare a tutta velocità poco prima del ritrovamento. Tuttavia, l’analisi scientifica ha rivelato una dinamica diversa. Sui capelli e sotto il corpo della vittima erano presenti resti vegetali, tra cui frammenti di steli e foglie e l’analisi della tipologia di frattura su questi materiali ha mostrato che l’impatto sulle piante era avvenuto prima di quello sul corpo della ragazza. Inoltre, le piante in questione non erano presenti vicino alla scena del crimine. Guardando verso l’alto, gli investigatori hanno notato una pianta ornamentale, non comune in quella città, che sporgeva dal balcone al terzo piano di un edificio. Per verificare l’ipotesi di una caduta dall’alto, sono stati condotti esperimenti di rottura su piante simili: Le prove hanno dimostrato che le fratture osservate richiedevano una forza compatibile con la caduta di un corpo di circa 45-50 kg da un’altezza di 4,5 metri, corrispondente all’altezza del balcone. Questa evidenza ha portato alla conclusione che la ragazza era caduta dall’alto. Di fronte a queste prove, la famiglia ha ammesso che la giovane soffriva di depressione, confermando che si trattava di un suicidio e non di un omicidio.
Per quanto riguarda la palinologia, la disciplina che studia pollini e palinomorfi ovvero spore fungine, cisti algali e molto altro, si è rivelata uno strumento fondamentale nella risoluzione di casi criminali. Il polline, infatti, possiede caratteristiche uniche: è microscopico; quindi, spesso ignorato dai criminali; è onnipresente e difficile da evitare; è resistente nel tempo grazie alla sua struttura altamente durabile; ed è specie-specifico, rendendo possibile identificare l’esatta pianta da cui proviene. Tra i pionieri della palinologia, il contributo di Gunnar Erdtman è stato cruciale, ma anche in Italia ha avuto una figura di spicco: la professoressa Daria Bertolani Marchetti di Modena. Direttore dell’Orto Botanico e fondatrice del laboratorio di palinologia, Bertolani Marchetti ha introdotto il termine “criminopalinologia” e avviato collaborazioni con le forze dell’ordine italiane negli anni ’80 e ’90, contribuendo alla risoluzione di casi complessi. Molti dei dettagli del suo lavoro restano riservati, ma la sua scuola continua a studiare i vetrini da lei usati nelle indagini.
Tra i primi casi criminali risolti grazie alla palinologia e documentati, troviamo un’indagine condotta in Svezia negli anni ’50. Un palinologo, amico del capo della polizia, analizzò i campioni di polline prelevati dal corpo di una donna trovata morta in casa sua e notò una discrepanza significativa: i pollini sul cadavere, provenienti da piante come piantaggine e romice, fiorenti in estate, non combaciavano con quelli presenti sul pavimento. Da ciò emersero due ipotesi: o il delitto era avvenuto in un luogo diverso da quello del ritrovamento, o era stato commesso in una stagione differente. L’analisi confermò che la donna era stata uccisa altrove e il corpo trasportato successivamente nella sua abitazione. Un secondo caso, sempre negli anni ’50, riguarda la scomparsa di uomo avvenuta sul Danubio, questo fu risolto grazie all’analisi dei pollini. Un uomo, impegnato in una gita turistica su un battello, non fece più ritorno. Le indagini si concentrarono inizialmente su un collega che lo accompagnava, il quale ipotizzò un suicidio, sostenendo che l’uomo si fosse gettato nel fiume a causa di problemi giudiziari. Tuttavia, questa versione non trovava riscontri con le informazioni delle forze dell’ordine. Gli investigatori, per chiarire la vicenda, prelevarono campioni di polvere dalla strada, dall’ufficio e dall’abitazione del sospettato. L’analisi palinologica rivelò, accanto a pollini comuni in ambienti umidi, tracce di polline di Carya, una pianta estinta, presente solo in una specifica area lungo la riva del Danubio e seguendo questa pista, portarono il sospettato nella zona dove la pianta un tempo cresceva. Messo alle strette, l’uomo confessò: aveva ucciso la vittima e ne aveva trasportato il corpo in quell’area. Le tracce di terriccio sulle sue scarpe, contenenti pollini antichi e resistenti al tempo, confermarono il collegamento con il luogo del delitto. Grazie alla palinologia, il caso fu risolto, dimostrando ancora una volta il valore di questa disciplina nelle indagini criminali.
Questi primi casi di palinologia applicata alle indagini criminali sono stati anche i più celebri, grazie alla possibilità di condividerne i dettagli pubblicamente. Tuttavia, con il tempo, la palinologia è diventata una pratica sempre più integrata nelle investigazioni ufficiali e questo ha comportato un lungo periodo di silenzio: a causa del segreto istruttorio legato alle indagini, i palinologi non hanno più potuto pubblicare o discutere liberamente i risultati delle loro analisi, limitando così il confronto accademico e la diffusione di nuove scoperte nel campo. Nonostante ciò, la palinologia forense ha compiuto notevoli progressi. Un aspetto cruciale è la raccolta dei campioni, fase delicata in cui è fondamentale preservare le tracce originali ed evitare contaminazioni da polline presente nell’aria: durante le indagini, il palinologo deve valutare attentamente il contesto, distinguendo tra ambienti aperti e chiusi, per poi adottare le precauzioni necessarie per un campionamento accurato. Le tecniche di raccolta includono il prelievo di terriccio da pneumatici e suole per ricostruire percorsi, o l’aspirazione di polline da superfici interne di veicoli. Queste metodologie consentono di collegare tracce polliniche alla scena del crimine o di ottenere informazioni sui movimenti di una vittima o di un sospettato. Negli ultimi anni, gli sforzi si sono concentrati sull’elaborazione di un protocollo internazionale, con l’obiettivo di garantire che le evidenze polliniche siano riconosciute come prove scientifiche a pieno titolo, consolidando ulteriormente la palinologia come strumento investigativo affidabile.
Per concludere, La professoressa Florenzano ha illustrato i progressi della micologia forense, una disciplina recente che studia i funghi nelle scene del crimine. Questo ambito si applica a diversi contesti investigativi e si sta sviluppando grazie alla possibilità di analizzare non solo gli elementi macroscopici dei funghi, facilmente identificabili, ma anche quelli microscopici, come le spore, integrate negli studi forensi dal 2008. Inizialmente, la micologia forense si limitava a collegare decessi per avvelenamento a intossicazioni fungine. Oggi, invece, le spore dei funghi rappresentano uno strumento prezioso per le indagini perché a differenza del polline, che ha un raggio di diffusione molto ampio e può viaggiare per centinaia di chilometri, le spore fungine si diffondono in microcircoli, con un’espansione massima di pochi centimetri. Questo le rende particolarmente utili per ottenere indicazioni localizzate sulla scena del crimine, fornendo dati specifici e circoscritti che il polline spesso non può garantire.
L’integrazione di discipline come la botanica, la palinologia e la micologia forense rappresenta un’evoluzione significativa nel panorama delle scienze investigative. Queste tecniche permettono di raccogliere e analizzare tracce microscopiche spesso invisibili a occhio nudo, fornendo informazioni cruciali per risolvere casi complessi. Dall’uso pionieristico delle evidenze botaniche nel caso Lindbergh agli sviluppi più recenti nelle analisi di pollini e spore, il contributo di queste discipline ha dimostrato il loro valore sia nel collegare sospettati alle scene del crimine sia nel ricostruire dinamiche investigative. Tuttavia, il pieno riconoscimento giuridico delle prove botaniche rimane una sfida in alcuni contesti ma grazie al lavoro di esperti, queste discipline sono in continua evoluzione, contribuendo a fare della scienza un alleato indispensabile della giustizia.